Confronto tra sorveglianza attiva e terapia iniziale in pazienti con carcinoma prostatico a basso rischio.
Si tratta di un articolo complicato ma
ingegnoso nel quale gli autori costruiscono un modello di studio
prospettico che mette a confronto sorveglianza attiva, brachiterapia,
radioterapia conformazionale e prostatectomia radicale in pazienti
virtuali di 65 anni con tumore della prostata in stadio inferiore o
uguale a T2a, PSA < 10 ng/ml e Gleason score inferiore o uguale a 6.
Lo studio conclude sotenendo che la
sorveglianza attiva è in grado di offrire a questi pazienti una qualità
di vita migliore alle altre metodiche con una mortalità da tumore della
prostata solo lievemente superiore.
Non sono personalmente mai stato
convinto della sorveglianza attiva come concetto da applicare in senso
lato a tutti i pazienti con tumore della prostata. Penso che tutti i
pazienti nei quali venga fatta una diagnosi di tumore della prostata in
presenza di co-morbidità significative debbano essere valutati con
attenzione per verificare se un trattamento sia veramente necessario.
Se si ritiene che il rischio di
mortalità per il paziente sia chiaramente legato ad altre problematiche,
in assenza di sintomi legati al tumore della prostata penso che il
paziente possa essere senz’altro essere osservato, sempre che presenti
le caratteristiche definite sopra.
In un caso come questo non ripeterei
ogni anno le biopsie ma seguirei il paziente con PSA ed esplorazione
rettale. Essendo il paziente più a rischio di exitus per altre cause, in
presenza di progressione di malattia tumorale della prostata
considererei probabilmente la terapia ormonale. Diverso è il caso del
paziente con tumore della prostata a basso rischio e con età fino ai 70
anni. Ormai l’aspettativa di vita media per un maschio italiano è di 81
anni e spesso può essere ben più a seconda delle condizioni generali del
paziente.
A fronte di questo trovo la sorveglianza
attiva, per una persona che sta bene, non giustificata. E’
assolutamente chiaro peraltro che al momento del colloquio con il
paziente gioca un ruolo importante l’esperienza dell’uorologo.
Se l’urologo è abituato ad ottenere
eccellenti risultati con la chirurgia tenderà inevitabilmente ed in
buona fede a proporla con più enfasi. Lo stesso succederà se l’urologo
esegue routinariamente una brachiterapia o se abbia un ottimo rapporto
di collaborazione con un efficiente centro di brachiterapia
conformazionale.
Il rischio potenziale è che
l’indicazione della sorveglianza attiva trovi indicazione eccessivamente
allargata, fatto salvo il sacrosanto diritto di ogni paziente di
decidere in prima persona sul da farsi a riguardo della sua malattia.
Vedremo dove saremo tra cinque anni: al momento non mi sento di
scommettere sul futuro successo della sorveglianza attiva.